Raccontare l’omofobia in Italia. Genesi e sviluppi di una parola chiave / Luca Trappolin, Paolo Gusmeroli. – Torino, Rosemberg & Sellier, 2019
Il concetto di omofobia emerge all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso e rapidamente si impone come strumento scientifico per interrogare ciò che prima della sua invenzione era ritenuto normale: l’avversione sociale verso persone gay e lesbiche. Altrettanto rapidamente, esso oltrepassa i confini della comunità scientifica per entrare nei linguaggi del confronto politico e della vita quotidiana, diventando una “parola chiave” utilizzabile per diversi scopi e al servizio di molti interessi. Il libro analizza l’entrata e la diffusione di questo termine in alcuni contesti discorsivi relativi all’Italia: l’ambito della sociologia e della psicologia sociale, quello della vita quotidiana di persone gay, lesbiche ed eterosessuali, quello della politica raccontata dai mass media nazionali e dagli attivisti LGBT. E getta luce sugli usi pratici del concetto di omofobia e sui significati che esso assume per chi lo utilizza. A cosa ci si riferisce quando si discute di omofobia? In quali dibattiti questo termine risulta efficace? In che modo parla dell’ostilità antiomosessuale e si lega ai processi di modernizzazione invocati o criticati – della società italiana?
Luca Trappolin. Nato a Vicenza nel 1971, è ricercatore in Sociologia nel Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata (FISPPA) dell’Università degli Studi di Padova, dove è tra i membri fondatori del laboratorio di ricerca “Globalizzazione, Identità e Pluralismo culturale” (Glob.I_Lab). Insegna Sociologia dei processi culturali e Sociologia politica ed è membro del Collegio docenti della Scuola di dottorato in Scienze sociali. Fa parte del “Forum di Ateneo per le politiche e gli studi di genere” e del Centro interdipartimentale di ricerca “Studi sulle politiche di genere”, dove coordina la sezione di Queer Studies. È membro dell’ editorial board della rivista internazionale About Gender. Tra i promotori italiani della sociologia dell’omosessualità, ha firmato e curato diverse pubblicazioni nazionali e internazionali sulle trasformazioni delle identità di genere e di orientamento sessuale, sulla costruzione sociale dei corpi e sulle lotte per il riconoscimento. Recentemente ha diretto la ricerca internazionale “Citizens in Diversity” riguardante le fenomenologie di omofobia e gli approcci giuridici alla tutela dei diritti di gay e lesbiche in Italia, Slovenia, Ungheria e Regno Unito.
Paolo Gusmeroli ricercatore in Scienze sociali, si occupa di violenza di genere, sociologia della famiglia e sociologia della vita economica. Tra le sue pubblicazioni in tema di riproduzione delle gerarchie di genere e di classe, la monografia Le eredi. Aziende vinicole di padre in figlia (2016).
Nostalgia degli dei. Una visione del mondo in dieci idee / Marcello Veneziani. – Venezia, Marsilio, 2019
Per la prima volta collegati in una compiuta visione del mondo, Marcello Veneziani propone in Nostalgia degli dei i temi affrontati nell’arco di quarant’anni di studio e ricerca. Nel corso dei secoli, le divinità si sono fatte idee, principi fondamentali per la vita e per la morte, amore per ciò che è superiore, permanente e degno di venerazione. Oggi una società schiacciata su un presente assoluto, in cui nessuna differenza è accettata, sembra aver spazzato via anche gli ultimi limiti necessari alla loro sopravvivenza: il confine che protegge, il pudore che preserva, la fede che è amore per la Luce. Come in una galleria di gigantesche figure di marmo, l’autore osserva e racconta le dieci divinità che hanno fondato il pensiero e l’esistenza dell’uomo. E nel tracciarne i profili ne svela il senso recondito, la loro necessità fuor di metafora per ricominciare a «pensare anziché limitarci a funzionare» nella vita di tutti i giorni. Attingendo a una costellazione di pensatori che da Platone e Plotino passa e Vico e Nietzsche, fino ad arrivare a Florenskij ed Evola, nel suo lungo percorso di scrittore Veneziani conserva quella nostalgia del sacro che consente agli uomini di uscire dal loro mondo e dal loro tempo, di riconoscere i propri limiti e trascenderli, di trovare orizzonti, tutori e aperture oltre la caducità della nostra esistenza.
Marcello Veneziani è uno scrittore italiano che ha dedicato all’Italia molte sue opere, articoli, mostre e convegni. Ha fondato e diretto riviste e scritto su varie testate, da «il Giornale» a «Libero», dal «Corriere della Sera» a «la Repubblica» e «il Messaggero». Al «Giornale» fu chiamato da Indro Montanelli e poi da Vittorio Feltri. Tra i suoi ultimi saggi: Anima e corpo (Mondadori, 2014), Ritorno al Sud (Mondadori, 2014), Un’ora d’aria. Sessanta racconti minuti (Avagliano, 2015), Lettera agli italiani. Per quelli che vogliono farla finita con questo paese (Marsilio, 2015), Alla luce del mito (Marsilio, 2017), Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti (Marsilio 2017).
Prima di Piazza Fontana. La prova generale / Paolo Morando. – Bari-Roma, Laterza, 2019
Una piccola storia ignobile della giustizia italiana, subito cancellata e rimossa. La prova generale della strategia della tensione. A cinquant’anni dai fatti, un libro-inchiesta, degno erede dei lavori di Corrado Stajano e di Camilla Cederna, rivela le verità nascoste di uno dei momenti chiave della storia repubblicana.
Milano, 25 aprile 1969: due ordigni scoppiano alla Fiera campionaria e all’Ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni della Stazione centrale, provocando una ventina di feriti. È il primo atto della campagna di attentati che pochi mesi dopo porterà a Piazza Fontana. L’Ufficio politico della Questura, fin dalle prime ore, punta verso gli anarchici. A condurre le indagini sono il commissario Luigi Calabresi e i suoi uomini, gli stessi che si troveranno nel suo ufficio la notte della morte di Giuseppe Pinelli, nome che nell’inchiesta spunterà di continuo, come pure quello di Pietro Valpreda, che già qui si profila come futuro capro espiatorio. Nel giro di pochi giorni vengono arrestati sei giovani e una coppia di noti anarchici milanesi, amici dell’editore Giangiacomo Feltrinelli. Al termine dell’istruttoria, dopo sei mesi di carcere la coppia sarà prosciolta per assoluta mancanza di indizi, mentre ai sei giovani verranno attribuiti ben 18 attentati, con l’accusa di strage, dopo confessioni subito ritrattate, e con accuse alla polizia di violenze durante gli interrogatori. Due anni dopo, con un colpo di scena dietro l’altro, il processo chiarirà le dimensioni della macchinazione anti-anarchica innescata da quegli attentati. Una vicenda determinante per comprendere fino in fondo i misteri di Piazza Fontana. Un racconto serrato di una pagina nera per la giustizia italiana, da allora totalmente rimossa dalla memoria, che assume nuova luce grazie alla scoperta di documenti fin qui inediti.
Paolo Morando, giornalista, vive e lavora a Trento dove è vicecaporedattore del “Trentino”. Ha contribuito al volume collettaneo Uscire dalla Seconda Repubblica. Una scuola democratica per superare il trentennio di crisi della politica (a cura di Mario Castagna, Carocci 2010). Per Laterza è autore di Dancing Days. 1978-1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia (2009), ’80. L’inizio della barbarie (2016), Prima di Piazza Fontana. La prova generale (2019).
Le mie invenzioni. L’autobiografia di un genio / Nikola Tesla, con il saggio di Nikola Tesla “La trasmissione dell’energia elettrica senza fili come mezzo per promuovere la pace”. – Torino, Edizioni L’Età dell’Acquario, 2017
La vita di Nikola Tesla è circondata di così tante leggende che si potrebbe persino dubitare del fatto che egli sia esistito veramente. Ingegnere straordinario, dotato di un’immaginazione prodigiosa, che gli permetteva di visualizzare le sue macchine nei minimi particolari senza doverne disegnare i modelli su carta, Tesla fu uno dei grandi innovatori della fisica moderna, un inventore geniale che riuscì a tradurre in realtà quasi trecento delle sue «visioni» e che anticipò la futura robotica (sviluppata con il nome di «teleautomatica»). Bistrattato a lungo, quando non dimenticato, Tesla fu un personaggio eccentrico: giocatore d’azzardo e incallito fumatore in gioventù, si votò poi completamente, con severa autodisciplina, agli studi di ingegneria e alla ricerca tecnica. Convinto che lo scopo della scienza fosse quello di preservare la vita degli uomini e di dominare il mondo materiale per il benessere e le necessità umane, a questo lavorò con instancabile energia fino alla morte, conducendo un’esistenza solitaria e modesta. Tesla pubblicò questa incredibile autobiografia a puntate, nel corso del 1919, sulla rivista «Electrical Experimenter», rivolgendosi soprattutto ai giovani lettori con la speranza di stimolarli a coltivare con passione i primi slanci creativi, che spesso modellano in modi imprevedibili i futuri destini.
Questa nuova edizione è arricchita da uno scritto di Tesla del 1905 sulla trasmissione senza cavi, attraverso l’atmosfera, della corrente elettrica: la soppressione della distanza, un progresso visionario, descritto con stupefacente chiarezza come «il più potente strumento di pace» che l’uomo abbia mai avuto.
Nikola Tesla (Smiljan, 1856 – New York, 1943) è stato un ingegnere elettrico, inventore e fisico serbo-croato, naturalizzato statunitense nel 1891. È conosciuto per il suo lavoro rivoluzionario e i numerosi contributi nel campo dell’elettromagnetismo (di cui è stato un geniale pioniere). Elaborò un prototipo per la comunicazione senza fili (la radio) e diede origine alla moderna ingegneria elettrica con lo sviluppo della corrente alternata. Per i suoi contributi alla scienza e la sua vita straordinaria, i suoi ammiratori contemporanei arrivano a definirlo: «L’uomo che inventò il XX secolo».
I partiti in Italia dal 1945 al 2018 / Piero Ignazi. – Milano, Il Mulino, 2019
Dall’inizio della repubblica i partiti sono al centro della vita politica italiana. Alcuni sono tramontati, altri si sono trasformati, altri sono appena sorti. Come orientarsi? Solo un’analisi dettagliata dei programmi, delle alleanze, del dibattito interno, dell’elettorato, degli iscritti e dirigenti di ciascuna formazione consente di avere una visione documentata delle vicende della politica italiana. Nel libro viene ricostruito il percorso di tutti i partiti italiani dagli anni quaranta a oggi, dai partiti storici, grandi come la Democrazia cristiana o minuscoli come il Partito repubblicano, ai partiti nuovi come Forza Italia e Lega, o nuovissimi come il Movimento 5 stelle. Di ciascuno viene presentato un ritratto che ne mette in luce le caratteristiche organizzative e ideologiche, i conflitti interni e i rapporti con la società, con le istituzioni e con le altre formazioni politiche.
INDICE DEL VOLUME
Introduzione
PARTE PRIMA: I PARTITI STORICI ESTINTI
I. Pli. Il grande assente della politica italiana
II. Pri. Il grillo parlante della modernizzazione
III. Psdi. Il sole che non riuscì a splendere
IV. Psi. Il riformismo (schiacciato) tra sudditanza e arroganza
PARTE SECONDA: I PARTITI STORICI RESILIENTI
V. Dc e postdemocristiani. Il potere che logora
VI. Msi-An. La nostalgia al binario morto
VII. Pci-Pds-Ds. Prima e dopo il Muro
VIII. Pr. Carisma e diritti civili
PARTE TERZA: I PARTITI NUOVI
IX. LN. Dalla Padania alla nazione
X. FI. Il partito personale-patrimoniale
XI. Pd. La grande illusione
XII. Pdl. L’equivoco della destra moderata
XIII. Prc-Sel. L’araba fenice del comunismo libertario
PARTE QUARTA: L’ULTIMO ARRIVATO: IL NUOVO PER ECCELLENZA
XIV. M5s. Ecologia, internet, rabbia 297
Conclusioni. Dall’oro, al ferro, all’argilla. Le tre età dei partiti italiani
Bibliografia
Indice dei partiti
Piero Ignazi. Politologo italiano laureato in Scienze della politica all’Università di Bologna, Ignazi ha completato i suoi studi presso il Massachusetts Institute of Technology di Cambridge. Nella sua carriera accademica è diventato presidente del Corso di Laurea triennale in Relazioni Internazionali e direttore del Master in Relazioni Internazionali (2000-03) all’Università di Bologna. È membro dell’Editorial Board dell’International Political Science Review (2004-10), ed è stato direttore de Il Mulino tra il 2009 e il 2011. Oltre a insegnare Politica comparata presso l’Università di Bologna, collabora con «la Repubblica» e «L’Espresso». Tra le sue pubblicazioni: Partiti politici in Italia (Il Mulino 2008), La fattoria degli italiani (Rizzoli 2009), Forza senza legittimità. Il vicolo cieco dei partiti (Laterza 2012 e 2013), Il triangolo rotto. Partiti, società e Stato (Laterza 2013, con Fabrizio Barca), Vent’anni dopo (Il Mulino 2014).
Teoria e storia delle fotografia / Rosalind Krauss. – Milano, Bruno Mondadori, 2019
Così come accadde per la pittura, l’introduzione della fotografia nel mercato dell’arte ha dato l’avvio a una “lettura” specialistica, fatta prevalentemente di quei corollari obbligati ai cataloghi e alle monografie rappresentanti dalle prefazioni e dai testi critici. Rosalind Kraus una delle massime esperte mondiali di arte contemporanea, vuole qui porsi contro tale modo di scrivere sulla fotografia, e anzitutto di volerne scrivere la storia. In opposizione alla tendenza dominante che fa rientrare la fotografia nell’ambito della storia dell’arte e che ne riduce l’invenzione a semplice formalità, la Krauss mira a restituirle quel significato di rottura che le fu proprio in origine, sottolineandone l’imprenscindibile esteriorità. Non riconducibile alle dimensioni essenzialmente stilistiche proprie della storia dell’arte, il valore della fotografia, come ha scritto Walter Benjamin, è sempre dato dal rapporto del fotografo con la propria tecnica. La storia dell’arte può fingere oggi di avere “fagocitato” la fotografia; un libro come questo ha anzitutto il merito di dissipare tale illusione. 65 immagini in bianco e nero.
Quanti avranno voglia di leggere con l’attenzione che merita il volume di Rosalind Krauss si renderanno conto che il titolo scelto per l’edizione italiana rischia di occultare il nucleo teorico attorno a cui sono imperniati tutti i saggi che lo compongono – interventi che la studiosa americana ha scritto in occasioni e con sollecitazioni diverse, tra il 1974 e il 1985, e che l’editrice parigina Macula, nel 1990, ha pensato bene di raccogliere in un volume destinato al pubblico francese.
Il titolo italiano, dicevamo, è uno di quei titoli che promettono molto – sulla fotografia, “tutto” – e che perciò deludono spesso le aspettative che generano nel lettore, in particolar modo nel lettore vorace di manuali. “Teoria e storia della fotografia” potrebbe facilmente suggerirgli l’idea di un racconto sulle sorti progressive che in centocinquant’anni hanno fatto lo straordinario successo dell’invenzione di Daguerre, di un tragitto storiografico suffragato da un approccio teorico del tutto, o parzialmente, originale. E in realtà, la riflessione teorica sviluppata dalla Krauss è indubbiamente originale, ma si dà il fatto che tutto il suo complesso discorso critico mira proprio a smontare le illusioni di quanti vogliano ancora cimentarsi nella scrittura (e nella lettura) di una storia di questo mezzo espressivo.
Il suo libro, cioè, sembra proprio voler portare altra acqua a quel mulino dove da tempo viene sminuzzata ogni velleità storiografica in campo artistico, il cui fulcro ruota attorno all’idea cardinale del decostruzionismo franco-americano: l’idea secondo la quale la storia di qualunque “medium”, di qualsiasi arte o di qualsivoglia genere, è costruzione incerta e malferma, infondabile e insensata. Anche la Krauss si mostra convinta del fatto che, se si pretende di architettare un’operazione storiografica, bisogna trascegliere in mezzo a materiali di natura eterogenea e di forma diversa, e la necessità di conferire un disegno coerente a quella storia obbligherà sempre a trascurare molti, troppi aspetti del fenomeno. Pertanto, l’attività dello storico di qualunque arte non potrà che produrre due risultati: da una parte, la narrazione (ideologica) di una brutale selezione; dall’altra, un cumulo disordinato di “scarti”.
Tutto questo per dire che il delirio onnicomprensivo del titolo italiano non appartiene affatto al progetto della studiosa americana; tutt’altro, è proprio quel tipo di disegno a essere attaccato e rinnegato dalla scrittura militante della Krauss. Come, del resto, dice bene il titolo e sottotitolo dell’edizione originale della sua raccolta: “Le Photographique. Pour une théorie des écarts”.
Coerentemente, nella sua introduzione l’autrice ci avvisa subito che oggetto di questa sua decennale indagine non è mai stata la fotografia, e che pertanto i suoi articoli “non possono essere definiti saggi “sulla” fotografia”, essendo invece analisi, eseguite con strumenti affilatissimi, di alcune modalità del “fotografico”, di questa specifica pratica discorsiva. E ciò che orienta e informa tutto il suo percorso è proprio “una teoria degli scarti”, perché tale approccio sembra essere per la Krauss “l’unico modo in cui la fotografia si lascia veramente pensare”, e perché, se si vorrà tentare ancora di “scrivere una storia dell’arte, non sarà mai lo stesso tipo di storia che si scriverà “sulla” fotografia”.
È infatti il fotografico a resistere a qualunque storia o teoria che tentino di comprenderlo: l’immagine fotografica, proprio in quanto “scarto”, “sorta di intoccabile, posta allo scalino più basso della scala della produzione mimetica”, è oggetto teorico che “reagisce in modo riflessivo contemporaneamente sul progetto critico e sul progetto storico che lo assumono come oggetto”. Non solo: la particolarità di un oggetto teorico siffatto, a partire dalla metà dell’Ottocento, ha anche posto irreversibilmente in questione gli strumenti stessi della storia e della critica d’arte, polverizzando molte delle categorie su cui tali discipline si sono fondate (quella di “autore” ad esempio, o quella di “apprendistato”, di “stile”, “opera”, “quadro”), certi loro generi (il ritratto, la veduta), i modi di fruizione dell’opera d’arte, la sua unicità, la sua conservazione e i luoghi della sua esposizione.
Nei saggi, a supporto di tali affermazioni vengono portate prove di varia natura, riscontri che risultano tanto più autorevoli in quanto provengono dalla trentennale attività critica dell’autrice. Il ramificato itinerario di studi della Krauss inizia seguendo l’insegnamento formalista di Clement Greenberg – maestro influente per gli studiosi del modernismo – e oggi approda, momentaneamente, nelle zone dell’informale, o meglio, dell'”informe” in senso batailliano.
Oggetto delle sue ricerche sono state esperienze artistiche diverse, fin dai suoi primi lavori sulle strutture metalliche di David Smith, e successivamente sulle opere già multimediali di un Richard Serra, sulle costruzioni totemiche di Beverly Pepper. Tra i più assidui collaboratori di “October”, periodico prestigioso che assieme ad altri ha fondato negli anni settanta, la Krauss si è sempre più allontanata dal formalismo di Greenberg, attraversando poi le stagioni del poststrutturalismo e del decostruzionismo.
In tutto questo prolifico percorso, però, la studiosa americana ha sempre conservato come costante una finissima sensibilità verso la visualità e il visivo, verso la percezione ottica di un manufatto d’arte. E se tra i suoi ultimi lavori c’è un libro interamente dedicato a questo – il titolo è ancora una volta significativo, “The Optical Unconscious” (1993) -, gli articoli contenuti nella raccolta ora apparsa in Italia testimoniano come la pratica fotografica sia stata per lei un continuo riferimento teorico, uno studio assiduo. I frutti di un tale interesse ci rivelano così un altro punto di vista sull’arte di molti pittori di questo secolo, obbligandoci a un diverso riguardo, a una “ricalibratura” – per usare un’espressione della Krauss -, in particolare verso quelle opere dove l’osservatore viene fortemente chiamato in causa.
I diversi capitoli del volume formano stazioni di un percorso che, sebbene prenda avvio con Nadar e si concluda con le foto pubblicitarie di Irving Penn, torna spesso sui suoi stessi passi, come a circoscrivere delle ossessioni teoriche, dei privilegiati punti di osservazione sul corso dell’arte contemporanea. Se l’interesse della Krauss sembra favorire la fotografia dei primi decenni del Novecento – gli esperimenti di Duchamp, di Man Ray e di Breton, gli “equivalenti” di Stieglitz, i “nottambuli” parigini di Brassaï – la sua riflessione, con moto coatto, torna infatti a misurarsi con il fenomeno surrealista, sostenendo una tesi il cui fascino non deriva solo dalla sua stravagante proposta critica. L’interpretazione di tutto il surrealismo, notoriamente, risulta da sempre viziata dalle definizioni contraddittorie che ne ha dato Breton, il suo “mago” e “fondatore”; a quanti ancora oggi si sforzano di trovare un modello teorico che possa conciliare esperienze e poetiche tanto diverse, la Krauss risponde ponendo al centro della parabola surrealista proprio la fotografia. In tal modo, l’immagine fotografica perde il ruolo secondario che generalmente le viene attribuito da tutti i critici e gli storici del movimento – ossia, quello di semplice illustrazione per i testi surrealisti, di irriverente divagazione per i pittori del gruppo – per conquistare, invece, quello di principio di unità e di coerenza formale.
Dove forse meglio la Krauss ci fa intravedere, nella filigrana di un dipinto, tutta l’importanza dell’esperienza pittorica, è nella sua analisi appassionata del “Grande Vetro” di Duchamp. In questo, come in tutti i lavori dell’artista francese, la dissoluzione del concetto tradizionale di opera d’arte risulta del tutto consumata e la fotografia – come qui ci viene mostrato – è forse la maggiore responsabile di tale rivoluzione. Nella smania assimilativa dell’argomentazione non ci viene però detto che quell'”opera” rimane in effetti incompiuta – come invece ricorda più volte Octavio Paz in quel suo bellissimo libro su Duchamp dal quale l’analisi della Krauss, curiosamente, pur prende in prestito le prime parole. E ciò non è un dettaglio secondario perché se, come scriveva Baudelaire agli esordi del Moderno, la nostra epoca, oltre al “frammentario”, ha come suoi tratti distintivi il “non finito” e l'”insignificanza” (una tesi che Antoine Compagnon ha voluto ribadire in uno dei suoi “Cinque paradossi della modernità”), il segno fotografico che tanto naturalmente ci fa dimenticare tutta l’arbitrarietà del suo rapporto con il referente, che si costituisce con un semplice gesto, un atto, un clic che cristallizza in senso definitivo la forma di un attimo, il segno fotografico, dicevamo, sembra costruire un codice ben diverso da quello praticato da Duchamp. (E in questo stesso senso, noi aggiungiamo, ben diverso pure da quello messo in atto dalla pennellata materica che ha costruito, strato dopo strato, il corpo peculiare di tanta pittura novecentesca). Da questo punto di vista, il gesto inconcluso di Duchamp sembrerebbe allora stare alla fotografia come gli echi di una parola stanno al suono di uno sparo.
Ma lo sappiamo bene: “traccia, supplemento, indice” o “icona” (queste le categorie con cui oggi si usa interpretarla), l’immagine fotografica appare sempre ai nostri pregiudizi come appesantita dal suo medesimo fondamento, zavorrata dalla realtà. Tra i molti pregi del libro della Krauss c’è quello, indubbio, di averci mostrato i modi straordinari in cui alcuni artisti degli ultimi cento anni hanno saputo trarre, dallo sguardo di Medusa dell’apparecchio fotografico, alcune insolite visioni (recensione di De Romanis, R., L’Indice dei libri del mese, 1997, n. 4).
Rosalind Krauss è una delle più autorevoli voci della critica statunitense, insegna Arte Moderna alla Columbia University. Specializzata nell’arte del 900 ha publicato numerosi libri ed è stata tra i fondatori delle riviste “Artforum” e “October”. Oltre a L’arte nell’era postmediale, tra i titoli tradotti in italiano, ricordiamo: Teoria e storia della fotografia (Bruno Mondadori, 1996), Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art (Bruno Mondadori, 1998), L’informe. Istruzioni per l’uso (con Yve-Alain Bois, Bruno Mondadori, 2003), Celibi (Codice, 2004), Reinventare il medium. Cinque saggi sull’arte d’oggi (Bruno Mondadori, 2005).
Storia dell’ebraismo / Martin Goodman. – Torino, Einaudi, 2019
Intrecciando i diversi fili del dibattito filosofico e dottrinario che attraversa tutta la sua storia, questo libro, autorevole e coinvolgente insieme, restituisce la cronaca di una tradizione fondamentale per l’eredità spirituale umana.
«In questo straordinario libro, l’eminente studioso di Oxford Martin Goodman comprime l’intera storia dell’ebraismo – da Flavio Giuseppe al Rinnovamento ebraico – in una sintesi davvero molto leggibile, prestando particolare attenzione alla diversità ebraica e basata su ricerche aggiornate. D’ora in poi, tutti gli studenti dell’ebraismo dovranno iniziare da qui» – Jonathan D. Sarna, Brandeis University
«Un viaggio magistrale lungo le autostrade e le innumerevoli strade secondarie del pensiero ebraico. Partendo dalla sua solida area di competenza, il rinomato storico della tarda antichità Martin Goodman si avventura ben oltre, dall’antichità all’oggi, in un’avvincente dimostrazione di virtuosismo accademico. Storia dell’ebraismo è un’opera importante» – David Myers, UCLA, Presidente del Center for Jewish History
«Coprendo un’area geografica vastissima, l’autorevole e dettagliata storia di Martin Goodman colloca le comunità ebraiche nei vari contesti, analizzandone gli sviluppi religiosi e intellettuali dall’antichità a oggi. Un libro ben argomentato che consente al lettore di seguire il filo dell’ebraismo nelle sue molteplici manifestazioni attraverso i secoli» – Sarah Stroumsa, Università ebraica di Gerusalemme
L’ebraismo ha mantenuto invariata la sua fortissima identità nonostante le innumerevoli forme e credenze che hanno costellato il suo corso millenario. Il libro di Martin Goodman offre la prima storia complessiva della sua nascita, della sua evoluzione e delle sue diverse correnti e tradizioni. Dalle origini della religione ebraica nel mondo politeistico del secondo e primo millennio al culto del tempio d’epoca cristiana, Storia dell’ebraismo racconta le vicende di rabbini, mistici e messia medievali e agli albori dell’età moderna, descrive le varietà religiose contemporanee dall’Europa alle Americhe, dall’Africa all’India e alla Cina, così come le istituzioni e le idee sulle quali si fonda ogni forma di ebraismo.
Martin Goodman insegna Jewish Studies a Oxford ed è il Presidente dell’Oxford Centre for Jewish and Hebrew Studies. Il suo libro Roma e Gerusalemme. Lo scontro delle civiltà antiche (Laterza 2012) è considerato una pietra miliare per lo studio del popolo ebraico durante l’Impero romano. Nel 2002 ha curato l’Oxford Handbook of Jewish Studies, premiato con il National Jewish Book Award for Scholarship. Per Einaudi ha pubblicato Storia dell’ebraismo (2019).
Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale / Arianna Arisi Rota. – Milano, Il Mulino, 2019
Indice del volume.
Prologo. Destinazione: l’Italia che non c’è
I. Accelerazione. Lo spazio del possibile (1796- 1799)
La variabile Bonaparte.
La variabile patrioti.
La variabile 1799.
II. Costruzione. Incubatori e resistenze (1800- 1814)
Marengo 1800: indietro non si torna.
Laboratori: esercito, amministrazione, scienza.
I notabili: identikit di nuovi protagonisti.
Limiti e opportunità per Stati satelliti.
III. Transizione. «Non siamo più quelli di vent’anni fa» (1814-1816)
1814: quale Italia dopo Napoleone?
1815: quale «felicità» per l’Italia?
1816: Restaurazione o età post-napoleonica?
IV. Mete desiderate, mete proibite: governi e sudditi
Scontento.
Underground.
V. Dentro le rivoluzioni del Mediterraneo (1820- 1821)
Cadice: un porto, una costituzione, un mito.
Da Nola ad Alessandria, passando per Milano.
Un solo nemico per la penisola.
VI. Il lungo 1830 italiano
A Parigi torna la rivoluzione.
Visioni e interessi in gioco.
Un salto di qualità.
VII. Partenze e arrivi
Profughi.
Volontari.
Occupanti.
VIII. Compagni di viaggio: visionari, cospiratori, uomini tranquilli
Mazzini: il progetto.
La via di mezzo.
Legittimisti.
Indifferenti.
IX. Compagni di viaggio: vecchi e giovani
Giovani e politica.
Napoleonici e figli del secolo.
X. Compagni di viaggio: donne, bambini, famiglie
Madri, mogli, compagne, sorelle.
Bambini.
Famiglie.
XI. Anni Quaranta: dove va la penisola?
Nuovi scenari.
Nuovi progetti.
L’orizzonte si complica.
XII. Il 1848 dura tre anni
1847: crisi.
1848: costituzioni, rivoluzioni, guerra.
1849: repubblica, resistenza e reazione.
XIII. Ripartire: seconda Restaurazione e Piemonte costituzionale
Nel Piemonte terra d’asilo.
La variabile Cavour.
Crimea: la svolta.
Distensione tardiva.
XIV. Il triennio in cui accade (quasi) tutto (1859- 1861)
Espellere l’Austria, mettere in sicurezza la penisola.
1860: Mezzogiorno, rivoluzione, spedizione.
1861: mondo nuovo e mondo vecchio.
XV. Ultime fermate: Venezia, Roma
Marcia di avvicinamento: la variabile Garibaldi, tra armi e diplomazia.
1870: cambia l’Europa, cambia l’Italia.
Il Risorgimento raccontato come un lungo viaggio travagliato dentro la contemporaneità e verso l’Italia unita, un viaggio che parte fra le onde agitate ma promettenti degli anni napoleonici e approda alle delusioni e ai rimpianti dell’Unità realizzata. È una storia di progetti e velleità, azioni e sogni, congiure, repressioni, rivoluzioni e guerre; una storia della politica ma anche dei sentimenti; e soprattutto, come la più recente ricerca ha sottolineato, una storia di persone che si mettono in gioco, fatta di passioni individuali e collettive che vengono qui restituite attraverso la voce dei protagonisti, grandi e piccoli: giovani e vecchi, uomini, donne e persino bambini, profughi.
Arianna Arisi Rota ha insegnato Storia dell’Italia contemporanea: l’Ottocento e History of Diplomacy nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia. Tra le sue pubblicazioni: Il processo alla Giovine Italia in Lombardia, 1833-1835 (Angeli, 2003); Formare alle professioni. Diplomatici e politici (a cura di, Angeli, 2009). Con il Mulino ha pubblicato anche I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani (2010), 1869: il Risorgimento alla deriva. Affari e politica nel caso Lobbia (2015), e Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale (2019).
La Gerusalemme di Toscana. Un percorso spirituale tra le cappelle di San Vivaldo / Maurizio Volpi. Firenze, M. Pagliai, 2019
Per dei video che illustrano lo splendido complesso clicca qui e qui.
Le cappelle del santuario di San Vivaldo in Valdelsa (Firenze), costruite nel XVI secolo, costituiscono una “piccola Gerusalemme”, pensata per offrire alla popolazione la possibilità di fare un pellegrinaggio senza dover affrontare un viaggio in Terra Santa, in quel periodo sotto il dominio dei turchi. Nel volume, che illustra con linguaggio semplice ma competente le caratteristiche del complesso, la descrizione delle architetture e dei tesori artistici è accompagnata da meditazioni e riflessioni sul Vecchio Nuovo Testamento, così da accompagnare il lettore in un vero e proprio percorso spirituale attraverso le cappelle, dando particolare rilievo ai manufatti in terracotta in esse custoditi.
Maurizio Volpi (1961) è presbitero della Diocesi di Volterra (Pisa) e missionario della Misericordia. Appassionato di studi iconografici, da diversi anni si dedica alla catechesi attraverso l’arte come contributo per la “nuova evangelizzazione”.
La notte in cui Mussolini perse la testa: 24-25 luglio 1943 / Pier Luigi Vercesi. – Vicenza, Neri Pozza, 2019
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Alle 17,15 di sabato 24 luglio, in una Roma devastata dai bombardamenti alleati sul quartiere di San Lorenzo, si riunisce, per la prima volta dallo scoppio della guerra, il Gran consiglio del fascismo. Ufficialmente è l’organo delle supreme decisioni; nella pratica il teatro dei monologhi del dittatore. Gli Alleati hanno occupato la Sicilia e la popolazione è allo stremo. Il 19 luglio Mussolini ha incontrato a Feltre Adolf Hitler, sperando di convincerlo ad abbandonare il fronte russo e a concedere all’Italia una via d’uscita che non comporti la distruzione del Paese. Non gli è stato concesso di aprire bocca. Da un mese, nella capitale si mormora di congiure militari, trame di palazzo, complotti vaticani. Una sola cosa è certa: Mussolini, l’onnipotente, è il busto ingombrante che qualcuno deve trovare il coraggio di abbattere dal piedistallo. La riunione, a differenza del passato, viene tenuta in gran segreto. Alcuni convocati si presentano con le tasche piene di bombe a mano, prevedendo una resa dei conti. La discussione si protrae fino alle due di notte del 25 luglio. Pier Luigi Vercesi narra, in queste pagine, le ore fatali e i personaggi che ebbero l’ardire di tener testa all’uomo che da vent’anni governava senza contraddittorio la nazione.
Pier Luigi Vercesi è nato a Corteolona nel 1961. Inviato del Corriere della Sera, ha scritto numerose opere tra le quali Fiume. L’avventura che cambiò l’Italia (Neri Pozza, 2017), Il marine. Storia di Raffaele Minichiello (Mondadori, 2017), Storia del giornalismo americano (Mondadori, 2005), Ne ammazza di più la penna. Storie d’Italia vissute nelle redazioni dei giornali (Sellerio, 2014). Ha, inoltre, realizzato numerosi documentari televisivi sulla Roma di Nerone, sulla Germania del Novecento e sulla Prima guerra mondiale.
Il grande libro della psichedelia / Matteo Guarnaccia. – Milano, Hoepli, 2017
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Dalla fine dell’Ottocento in poi, l’utilizzo “mistico-creativo” delle sostanze psichedeliche, inizialmente prodotte a scopo terapeutico dall’industria farmaceutica, ha scatenato un inaspettato effetto domino nella cultura occidentale. Un impatto che è stato evidente non soltanto nella musica e nelle arti visive – complice la grande potenza comunicativa del rock – ma anche e più di quanto comunemente si pensi, in altri campi: cinema, moda, pubblicità, architettura, design e scienza. Questo libro racconta i momenti in cui la filosofia psichedelica, una delle ultime avanguardie del Novecento, è entrata in maniera impetuosa e fattiva in società. Un viaggio letterario e visivo attraverso il Messico di Antonin Artaud, la Berlino di Weimar, gli abiti di Emilio Pucci, i film di Federico Fellini e Stanley Kubrick, il design di Ettore Sottsass, i riti magici di Aleister Crowley, la psicanalisi junghiana, il packaging delle scatole di cereali americane, i fumetti di Robert Crumb, il look delle linee aeree, oltre naturalmente alla musica, ai poster di San Francisco, alle riviste underground, dai Pink Floyd ai Jefferson Airplane, dalla pubblicità alla sperimentazione artistica. Senza tralasciare l’eredità che questa rivoluzione estetica ed esistenziale ha avuto nella cultura digitale contemporanea. Insomma, la psichedelia è ancora tra di noi, ed è durata ben oltre le otto ore canoniche.
Uno straordinario viaggio dentro l’ultima turbolenta avanguardia del Novecento che ha cambiato la percezione e la comunicazione nella musica, nella moda, nel cinema, nella pubblicità, nel design. Dagli anni Sessanta in avanti, l’utilizzo “mistico-creativo” delle sostanze psichedeliche, inizialmente prodotte per scopi terapeutici dall’industria farmaceutica, poi utilizzate in ambito militare, ha prodotto un inaspettato effetto domino nella cultura occidentale. Un impatto che è stato evidente non soltanto nella musica e nelle arti visive – complice la grande potenza comunicativa del rock – ma anche e più di quanto comunemente si pensi, in altri campi: cinema, moda, pubblicità, architettura, design e scienza. Questa opera segue la filosofia psichedelica, dai posati circoli intellettuali europei (Ernst Junger, Walter Benjamin, Aldous Huxley) alle controculture ribelli (beat, hippies) sino all’esplosione artistica (Jimi Hendrix, Jefferson Airplane, Beatles). Sfogliandone le pagine ci si può imbattere negli abiti di Emilio Pucci o nei film di Federico Fellini e Stanley Kubrick, nel design di Ettore Sottsass o nelle architetture di Archigram, nelle avventure di James Bond, negli store Fiorucci e Biba, nei fumetti e nelle riviste underground, nei complotti dei servizi segreti, nello sciamanesimo elettronico e in molto, molto altro. Seguendone le tracce si arriva a quella che è la sua più diretta eredità: la cultura digitale.
Matteo Guarnaccia (Milano 1954), artista, saggista e storico del costume è una figura di riferimento della cultura visionaria contemporanea. Si occupa di arte, moda, design, giornalismo, insegnamento, curatela di mostre e musica.
Oscar Ghiglia. Un mosaico di colori e di spazi / Emanuela Angiuli. – Firenze, M. Pagliai, 2008
“In Italia c’è Ghiglia; c’è Oscar Ghiglia e basta” affermava Amedeo Modigliani da Parigi, volgendo lo sguardo agli artisti italiani operanti intorno ai primi decenni del 1900. Giudizio lapidario, carico di un valore profetico che adombra l’unicità del livornese Oscar Ghiglia (1876-1945), della sua personalità definita aristocratica e schiva, in realtà solitaria. Amico più che discepolo di Giovanni Fattori, con lui Oscar condivide un’affinità, una disposizione mentale, quella di pensare con il colore, di dare struttura sintattica alla visione artistica soltanto attraverso il colore che nelle diverse stagioni della sua arte diventa la cifra stilistica che lo imporrà al disopra delle maniere e dei localismi italiani. Il colore pensato nei luoghi dell’anima, plasmato sui corpi e sulle espressioni fortemente indagate nei ritratti, usato come architettura negli interni, incarnato nelle sensuali opalescenze di fiori e conchiglie, negli smalti dei vasi e dei fiori, si tramuta nell’opera di Ghiglia in linguaggio universale.
Francesco Gioli. Un campione di eleganza spontanea / Francesca Cagianelli. – Firenze, M. Pagliai, 2007
Dalle sale dell’Accademia di Belle Arti di Pisa e quindi di Firenze, fino al Salon di Parigi del 1875 e del 1878, Francesco Gioli arricchisce l’originaria matrice purista con gli aneliti del naturalismo europeo e dell’impressionismo. Costantemente critico nei riguardi di qualsiasi novità tecnica l’artista segue un proprio personale e moderato percorso di aggiornamento stilistico che lo conduce sullo scorcio dell’Ottocento alle soglie del divisionismo e del simbolismo. Nel corso del Novecento, lungi dal ristagnare nell’orbita del macchiaiolismo, Gioli saprà farsi interprete di un rinnovato linguaggio di eleganza disegnativa e grazia cromatica, con cui affrontare le consuete tematiche della figura e del paesaggio, stavolta nell’ottica di una più vibrante poesia.
Francesca Cagianelli. Dopo la laurea in storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Pisa Francesca Cagianelli ha avviato una indagine approfondita sull’Ottocento e il Novecento toscano pubblicando, a partire dal 1992, numerosi articoli e saggi. A partire dal 1997 assume la direzione scientifica delle mostre promosse dal Comune di Crespina, curandone il progetto e il catalogo. Oltre a curare numerose esposizioni e a pubblicare volumi sulle più grandi personalità dell’arte dell’Otto e Novecento, Francesca Cagianelli si è resa promotrice di numerose iniziative culturali: è stata presidente del Comitato Promotore Guido Peyron e il Novecento Toscano, presidente del Comitato per la Promozione dell’opera pittorica e scultorea di Renato Vigo. È presidente di Archivi e Eventi, Associazione Culturale per la Documentazione e la Promozione dell’Ottocento e del Novecento Livornese.
Ulvi Liegi. Momenti del postimpressionismo in Toscana / Stefano Fugazza. – Firenze, M. Pagliai, 2007
Tra i motivi prediletti della pittura di Ulvi Liegi (pseudonimo di Luigi Levi, 1858-1939) ci sono i parchi nella bella stagione, le marine, le vedute di Livorno. Una quotidianità senza enfasi fa da sfondo alla sua opera, senza che elementi perturbanti scalfiscano un mondo da cui sono escluse le asprezze dell’esistenza. Una produzione tutta in chiave intimistica, lontana dai temi propagati dalla cultura dominante, tanto compatta sul piano iconografico quanto variegata su quello della forma. Liegi adotta di volta in volta ritmi pacati o si concede a esperimenti più liberi, ai grafismi nervosi e alle audacie compositive di una scrittura elementare. Su tutto spicca il colore, mai steso in modo omogeneo ma per risaltarne le continue variazioni, via via sempre meno aderente al dato oggettivo, sempre più lontano dal realismo, in un aggregato coloristico fatto di dissonanze più che di accordi armonici. Il volume raccoglie circa un centinaio delle sue maggiori opere, pubblicate tutte a colori e a piena pagina. In apertura il saggio di Stefano Fugazza “Momenti del postimpressionismo in Toscana”. Concludono l’opera un testo biografico e una bibliografia aggiornata. Prefazione di Sira Borgiotti.
Stefano Fugazza (Cantone di Aguzzano, Piacenza 1955-Piacenza 2009) è stato storico dell’arte. Laureatosi in Storia dell’arte a Pavia, insieme a Rossana Bossaglia, si è poi specializzato a Milano. È stato direttore della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza dal 1993 fino al 2009. Tra i suoi interessi, oltre a quello per l’arte figurativa, vale la pena ricordare quello per la letteratura, in particolare quella dell’Otto e Novecento. Numerose sono state le sue pubblicazioni, tra queste Simbolismo, pubblicata da Mondadori nel 1991 e I pompiers. Il volto accademico del Romanticismo, pubblicata da Ilisso nel 1992. Si è occupato inoltre di redare vari cataloghi di mostre e monografie su singoli artisti e dal 2006 aveva fondato e dirigeva, insieme a Gabriele Dadati, la rivista di letteratura e arte “Ore piccole”.
I macchiaioli. Storia di una rivoluzione d’arte / a cura di Simona Bartolena. – Milano, Skira, 2019
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Nella seconda metà dell’Ottocento Firenze è una delle capitali culturali più attive in Europa, vero e proprio punto di riferimento per molti intellettuali provenienti da tutta Italia. Intorno ai tavoli di un caffè cittadino, il Caffè Michelangelo, si riunisce un gruppo di giovani artisti accomunati dallo spirito di ribellione verso il sistema accademico e dalla volontà di dipingere dal vero, secondo nuovi criteri di rappresentazione della realtà: sono Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega… i futuri “macchiaioli”.
Sull’esempio della scuola di Barbizon, i pittori macchiaioli escono a dipingere en plein air, trasformando radicalmente l’idea di pittura di paesaggio e anticipando, per molti aspetti, le ricerche degli impressionisti francesi. Ma la loro azione di rinnovamento dell’arte italiana si estende anche ad altri generi pittorici: loro campi di sperimentazione sono il soggetto storico e quello tratto dalla vita quotidiana.
In pieno Risorgimento, in un periodo straordinario per la storia italiana, i macchiaioli sovvertono le consuetudini artistiche, accendendo una rivoluzione che si rivelerà fondamentale per la nascita della pittura moderna.
Pubblicato a corredo della mostra di Lecco, il volume racconta, attraverso ottanta opere dei principali protagonisti del movimento – da Telemaco Signorini a Giovanni Fattori, da Vincenzo Cabianca e Silvestro Lega –, le caratteristiche e l’evoluzione di questo nuovo linguaggio pittorico, fondamentale per la nascita della pittura moderna.
Lecco, Palazzo delle Paure, 4 ottobre 2019 – 19 gennaio 2020
Simona Bartolena. Laureata in Storia dell’arte presso l’Università Statale di Milano, Simona Bartolena ha pubblicato numerosi volumi per le più prestigiose case editrici italiane. I suoi testi sono stati tradotti in varie lingue straniere. Tra i principali: Manet, (Leonardo Arte, 2001). Monet, (Electa, 2001), Impressionisti (Mondadori 2002), Impressionismo, Guida Cultura, (Mondadori, 2002), Arte al femminile (Electa, 2003), Arte Moderna (Fabbri, 2003), Il Musée d’Orsay, (Mondadori, 2005), Omaggio agli impressionisti (Mondadori 2005), La guerra dell’Arte: La guerra è finita?, catalogo della mostra presso la Torciera di Villa Arese-Licini, Osnago (2006), Claude Monet, (Electa, 2007), Auguste Renoir (Electa, 2007), Henri de Toulouse-Lautrec, (Electa, 2007), Edouard Manet, (Electa, 2007), Carla Maria Maggi, (Skira, 2007), I capolavori del Musée d’Orsay (Mondadori Arte, 2008), Donne (Electa, I dizionari dell’arte, 2009, testi a due mani con Marta Alvarez), Brianza: terra d’artisti (Silvana Editore, 2009), Leonardo e Salaino (pubblicato in: catalogo Must, Museo del Territorio di Vimercate, Electa 2011). E’ consulente di numerosi Comuni, associazioni culturali e gallerie, per i quali cura esposizioni d’arte ed eventi. Lavora attivamente con alcuni artisti contemporanei scrivendo per loro saggi di presentazione e testi critici e curando le loro esposizioni personali. Da anni si occupa di iconografia – collaborando come ricercatrice con le principali case editrici milanesi – e di divulgazione, tenendo corsi, conferenze e seminari di argomento storico-artistico.
I macchiaioli / Fernando Mazzocca. – Firenze, Giunti, 2019
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Macchiaioli è un libro totalmente nuovo, scritto da uno specialista dell’Ottocento italiano, curatore di importanti e visitatissime mostre sull’argomento. È un titolo che torna nel nostro catalogo proprio sulla scia di questo successo espositivo. La pittura dei macchiaioli è presente nell’immaginario degli italiani, è interessata da un collezionismo abbastanza diffuso e non elitario, è oggetto anche di un finalmente coraggioso recupero critico che ne evidenzia la primogenitura rispetto alla (certamente più grande e influente) stagione impressionista francese.
Fernando Mazzocca. Dopo essersi perfezionato in Storia dell’Arte presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha insegnato Storia della Critica d’Arte all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ed attualmente ricopre lo stesso ruolo presso l’Università Statale di Milano. Ha svolto un’ampia attività di studio sull’arte neoclassica, sull’Ottocento e sul Novecento. I risultati di tale attività sono attestati da importanti esposizioni, organizzate a Milano, Torino, Brescia, Bergamo, Verona, Venezia, Roma, e dalle numerose pubblicazioni curate da Einaudi, Mondadori, Il Saggiatore, Electa, Skira, Longanesi, De Agostini, Motta, Giunti, Ricciardi, De Luca, Neri Pozza, Allemandi, Silvana Editoriale. Dal 1986 collabora, intervenendo anche nel dibattito sulla tutela dei beni artistici, al supplemento domenicale del “Sole-24 Ore”, cosi come ad altre riviste, specializzate e divulgative, tra cui “Art Dossier” e il “Giornale dell’Arte”. E’ attualmente uno dei maggiori conoscitori dell’Ottocento, di cui si è occupato con numerosi studi specifici e organizzando grandi mostre, tra cui quelle dedicate a Canova (Roma, Venezia, Forlì), Hayez (Milano e Padova), Inganni (Brescia), i macchiaioli, Giovanni Boldini (Padova), Gaetano Previati, Giuseppe Molteni, in generale la cultura neoclassica e romantica (Milano) e la cultura figurativa dell’Ottocento (Roma). Ha svolto anche studi sull’illustrazione, sulla letteratura artistica dell’Ottocento, di cui ha pubblicato nel 1998 una raccolta di scritti, pubblicati nella collana dei Classici Italiani della Ricciardi, e sulla storia del collezionismo. Ha curato il riallestimento di importanti musei pubblici, tra i quali Palazzo Reale a Milano, e la Galleria d’Arte Moderna a Palermo.
Buffalmacco e il Trionfo della morte / Luciano Bellosi, a cura di Roberto Bartalini. – Milano, Abscondita, 2016
“Leggendo il titolo di questo saggio, molti scuoteranno la testa e penseranno che si tratti di uno di quei tentativi stravaganti e patetici, da preistoria dell’arte, di dare una identità ad un personaggio famoso, facendo leva su basse suggestioni. In questo caso, poi, un personaggio storicamente così squalificato – per via della troppa ricca letteratura aneddotica – qual è Buonamico Buffalmacco, il pittore burlone del Boccaccio e del Sacchetti; e suggestioni così vaghe come quelle derivate dall’accostamento, ormai tradizionale, di qualche episodio del grande affresco raffigurante il Trionfo della Morte, nel Camposanto di Pisa, con la ‘cornice’ del Decameron. Io presumo si tratti di qualcosa di più”.
Quando uscì per Einaudi nel 1974, questo libro associò per la prima volta un corpus di opere sicure al celebre pittore burlone del “Decameron”, Buonamico Buffalmacco. L’attenta analisi stilistica, accompagnata da una rilettura delle fonti storiche, ha permesso a Bellosi di restituire a Buffalmacco una serie di opere di grande qualità, ricostruendone anche la cronologia tra il primo e il quarto decennio del Trecento. Ne risulta un percorso artistico che, iniziato a Firenze, andrà sempre più staccandosi dall’ondata vincente del giottismo per approdare a esiti espressionistici e gotici che si inseriscono a pieno titolo nella stessa corrente del Maestro di Figline e di Lippo di Benivieni, e influenzano la nascente scuola bolognese.
Luciano Bellosi. Lo storico dell’arte Luciano Bellosi è scomparso il 26 aprile [2011] a Firenze, città in cui era nato il 7 luglio 1936. Professore di Storia dell’Arte Medievale presso l’Università di Siena dal 1979 al 2006, aveva iniziato lavorando presso la Soprintendenza alle Gallerie di Firenze dal 1969 al 1979. Tra le sue numerose pubblicazioni: Buffalmacco e il Trionfo della Morte, Torino 1974; il catalogo del Museo dello Spedale degli Innocenti a Firenze, Milano 1977; La pecora di Giotto, Torino 1985; la monografia su Cimabue, Milano 1998. Aveva curato l’allestimento e il catalogo delle mostre: «Arte in Valdichiana», Cortona 1970; «Lorenzo Ghiberti: materia e ragionamenti», Firenze 1978; «Pittura di luce», Firenze 1990; «Una scuola per Piero», Firenze 1992; «Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena», Siena 1993. Alla sua lunga attività di studioso, «Il Giornale dell’Arte» ha dedicato un’ampia intervista nell’ottobre del 2003 («Documenti», n. 225, p. 42 e 43). Luciano Bellosi era stato allievo di Roberto Longhi, alle cui lezioni lo incontrai per la prima volta quando stava terminando la sua tesi su Lorenzo Monaco. Aveva un occhio finissimo, era un grande conoscitore; Giovanni Previtali, cui succedette sulla cattedra di Siena, lo considerava infallibile. Di queste sue capacità ebbe modo di dare tante ed eccezionali prove, ma aveva molte altre curiosità che gli furono di grandissimo aiuto. Una di queste era la storia del costume e della moda: una conoscenza che gli venne varie volte a sostegno, o fu addirittura all’origine di grandi scoperte che hanno rivoluzionato in più di un punto la storia dell’arte europea.
Tralascerò i suoi pur celebri studi su Giotto, Cimabue, Duccio e sul Gotico internazionale per ricordare due casi. La retrodatazione del «Trionfo della morte» del Camposanto di Pisa con la ricostruzione della figura di Buffalmacco, uno dei più originali artisti fiorentini, un giottesco di fronda (ma di che fronda!).
E, al contrario, la datazione più tarda di alcune pagine di quello che è forse il più celebre manoscritto miniato della storia, le «Très Riches Heures du Duc de Berry», capolavoro dei fratelli de Limbourg, e l’identificazione di una nuova, eccezionale mano intervenuta nel libro dopo di loro. «Il Trionfo della morte» pisano, ciclo celeberrimo nel mondo intero, era stato sempre considerato in rapporto con la peste che nel 1348 spopolò l’Europa. Bellosi (in Buffalmacco e il Trionfo della morte, Torino 1974) riuscì a dimostrare in modo stringente che l’opera doveva essere datata prima della grande epidemia e prima del Decameron rivoluzionando la cronologia della pittura fiorentina del Trecento e sbaragliando la tentazione di mettere in un rapporto, in certo modo subordinato, le opere figurative rispetto a quelle letterarie. Studiando le pagine delle Très Riches Heures, che pure erano state esaminate e indagate per ogni verso dai più grandi storici dell’arte del mondo, Bellosi scoprì qualcosa di cui nessuno si era accorto, e cioè che alcune delle più celebri immagini dei mesi (marzo, giugno, luglio e settembre), in cui si erano viste straordinarie anticipazioni vaneyckiane di Paul de Limbourg, erano in realtà di un’altra mano, straordinaria sì ma più tarda di una buona ventina d’anni.
Bastino questi due episodi che gli hanno dato fama internazionale per ricordare le eccezionali scoperte di Luciano Bellosi, vero e valentissimo conoscitore, grande e schivo maestro (Enrico Castelnuovo, da Il Giornale dell’Arte numero 309, maggio 2011).
Roberto Bartalini ha compiuto gli studi universitari a Siena e in seguito si è addottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa (1988-91). Dal 1992 al 2001 è stato ricercatore presso l’Università senese, ricoprendo inoltre l’insegnamento di Storia della critica d’arte (1996-2001). Già professore associato di Storia dell’arte medievale, è ora ordinario della medesima disciplina.
È membro del comitato scientifico di “Prospettiva. Rivista di storia dell’arte antica e moderna”, di “Matèria. Revista internacional d’Art” e del Grup d’investigaciò EMAC – Romànic i Gotic, nonché collaboratore del Kunsthistorisches Institut in Florenz/Max-Planck-Institut.
È autore di numerosi saggi e monografie di storia della pittura, della scultura e della committenza artistica tardomedievali e della prima età moderna, tra i quali “Scultura gotica in Toscana. Maestri, monumenti, cantieri del Due e Trecento” (Milano, Silvana Editoriale, 2005), “Giovanni Antonio Bazzi, il Sodoma. Fonti documentarie e letterarie” (Vercelli, Società Storica Vercellese, 2012, con A. Zombardo), “Il duomo nuovo di Siena. La fabbrica, le sculture, i maestri, le dinamiche di cantiere” (Milano, Silvana Editoriale, 2019). Di recente ha curato una nuova edizione di due classici della storiografia artistica del secondo Novecento: “La pecora di Giotto” (2015) e “Buffalmacco e il Trionfo della Morte” (2016) di Luciano Bellosi. Assieme ad Alessandro Bagnoli e a Max Seidel ha progettato e curato la mostra “Ambrogio Lorenzetti” (Siena, Complesso Museale di Santa Maria della Scala, 2017-18).
Già coordinatore del Dottorato di ricerca in Storia dell’Arte dell’Università di Siena (2005-06), è membro del collegio dei docenti del Dottorato di ricerca internazionale in Storia delle Arti e dello Spettacolo delle Università di Firenze, Pisa e Siena (Dottorato Pegaso). È stato vice preside della Facoltà di Lettere e Filosofia (2008-2011), delegato alla didattica e vice direttore del Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dalla fondazione (nel 2012) al 2018. Attualmente è presidente del corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte.
L’arte del primo Novecento / Federica Rovati. – Torino, Einaudi, 2015
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Questa storia dell’arte del primo Novecento intende evitare la convenzionale sequenza di “ismi”, cronologie, autori e opere celebri alla quale siamo spesso abituati. Deponendo le categorie abituali, l’autrice articola l’esplorazione intorno ad alcune questioni critiche che illuminano da punti di vista differenti uno dei periodi più straordinari dell’intera storia dell’arte occidentale. Muovendosi tra le polarità dialettiche costituite da un lato da avanguardia e tradizione, dall’altro da propaganda e impegno, il saggio attraversa problemi di carattere formale e di tenore ideologico, fra i condizionamenti del mercato e della politica. Al centro, discute i problemi propriamente linguistici posti dalla pittura, dalla scultura e dall’irruzione della realtà oggettuale nel dominio dell’arte, introducendo ai luoghi, concreti o metaforici, in cui gli artisti lavorarono: città, atelier, laboratori, palcoscenici. Il volume non pretende di esaurire la vicenda dell’arte del periodo: sacrifica alcuni nomi, su altri insiste di continuo; privilegia certi movimenti artistici, lasciandone altri in ombra. Attorno ai casi prescelti prova però a intessere un discorso plurale in cui le definizioni e le valutazioni critiche, all’interno di nuovi contesti e nel confronto reciproco, possono rimodellarsi e perfino capovolgersi.
Muovendosi tra le polarità dialettiche costituite da un lato da avanguardia e tradizione, dall’altro da propaganda e impegno, il saggio attraversa problemi di carattere formale e di tenore ideologico, fra i condizionamenti del mercato e della politica. Al centro, discute i problemi propriamente linguistici posti dalla pittura, dalla scultura e dall’irruzione della realtà oggettuale nel dominio dell’arte, introducendo ai luoghi, concreti o metaforici, in cui gli artisti lavorarono: città, atelier, laboratori, palcoscenici. Il volume non pretende di esaurire la vicenda dell’arte del periodo: sacrifica alcuni nomi, su altri insiste di continuo; privilegia certi movimenti artistici, lasciandone altri in ombra. Attorno ai casi prescelti prova però a intessere un discorso plurale in cui le definizioni e le valutazioni critiche, all’interno di nuovi contesti e nel confronto reciproco, possono rimodellarsi e perfino capovolgersi. In questo senso, la selezione delle opere analizzate individua un numero limitato di artisti per aprire il ventaglio dei rispettivi sondaggi formali, spesso orientati in direzioni contraddittorie, dentro la generale disparità linguistica dell’arte contemporanea.
Federica Rovati insegna Storia dell’arte contemporanea all’Università degli studi di Torino. Per Einaudi ha pubblicato L’arte del primo Novecento (2015) e L’arte dell’Ottocento (2017).
Il piano regolatore di Siena del 1956. Alle origini della città fuori le mura / Stefano Maggi. – Siena, Fondazione Monte dei Paschi, 2011
Il piano regolatore generale, approvato in sede locale nel 1956 e a livello nazionale nel ’59, ha rappresentato un grande momento di svolta nella storia della città. Dalla forma e dislocazione degli insediamenti, alla sede del policlinico, alle aree di espansione artigianale, alle strade, allo spostamento del centro direzionale da piazza del Campo alla Lizza, tutto o quasi fu pensato in quel periodo, durante il quale si programmò una nuova città fuori dalle mura, decidendo di non costruire più all’interno del nucleo storico. Il piano venne firmato da tre tecnici, Piero Bottoni, Aldo Luchini e Luigi Piccinato e fu poi seguito nell’attuazione da Piccinato stesso, urbanista di fama internazionale. Anche per questo è stato in seguito conosciuto come “piano Piccinato”. Questo piano regolatore ha conservato a lungo una percezione positiva, non soltanto all’interno della città, ma nella stessa urbanistica italiana, in cui si cita l’esempio senese come un laboratorio di sperimentazione innovativa.
Stefano Maggi. Professore ordinario di Storia contemporanea. Ha conseguito la laurea in Scienze Politiche nel 1991, il titolo di dottore di ricerca in Storia dell’Africa nel 1995 e il diploma di specializzazione in Economia e Politica dei Trasporti nel 1997.
È stato Direttore del dottorato in Scienze storiche in età contemporanea dell’Università di Siena, è membro della redazione della rivista informatica “Storia e Futuro” e della rivista internazionale “Journal of Traffic and Transportation Engineering”. È presidente della Fondazione Cesare Pozzo per la mutualità di Milano e membro del consiglio direttivo dell’ASMOS di Siena (Archivio storico del movimento operaio e democratico senese), di cui è stato presidente. Dirige la collana scientifica “Territori” per le Edizioni Nerbini di Firenze.
Dall’ottobre 2013 all’ottobre 2019 è stato Direttore del Dipartimento di Scienze politiche e internazionali, dirige il master in Mutualità e sanità integrativa (MutuaSI).
Gino Marotta. Corteo di primavera e altre luci colorate. – Macerata, Carima arte, 2010
Catalogo della mostra tenutasi all’Abbadia di Chiaravalle di Fiastra (MC), dal 21 maggio al 27 giugno 2010.
Comunicato stampa della Mostra, clicca qui.
Due video sull’attività artistica di Gino Marotta, clicca qui e qui.
Gino Marotta nasce nel 1935 a Campobasso e muore a Roma il 16 novembre del 2012. La prima personale nel 1957 è alla galleria Montenapoleone di Milano. Nel 1959 alla galleria dell’Ariete espone piombi, allumini e bandoni. Collabora a diverse opere architettoniche tra cui il soffitto del Palazzo RAI a Roma, la vetrata del Centro Congressi di Bergamo e la facciata della Sinagoga di Livorno. Tra gli “environment” in metacrilato il “Bosco naturale-artificiale”, esposto nel 1967 a Foligno e nel 1969 insieme a “Nuovo Paradiso”, nella rassegna “4 artistes italiens plus que nature” al Musèe des Arts Decoratifs nel Palais du Louvre di Parigi con Ceroli, Kounellis e Pascali. Partecipa con “Giardino all’italiana”, un intervento con balle di fieno, alla manifestazione “Arte Povera + Azioni povere” di Amalfi. Crea le scenografie della “Salomè”, di “Nostra Signora dei Turchi” e “Hommelette for Hamlet” di Carmelo Bene. Sono del 1973 l’antologica alla Rotonda della Besana e l'”Eden Artificiale” nei giardini della XV Triennale a Milano. Nel 1984, nella sala personale alla Biennale di Venezia, espone le “Rovine dell’isola di Altilia”. Tra le mostre più recenti si segnalano: la mostra antologica “Metacrilati” al Complesso del Vittoriano di Roma (2001), il grande “Albero della vita” nella mostra “Artisti italiani del XX secolo alla Farnesina” (2001), la personale “Metacrilati” a Seoul (2004), Nuova Delhi, Karachi, Islamabad, e Taipei, la personale “Natura e Artificio” alle Scuderie Aldobrandini di Frascati (febbraio 2005). Nell’ottobre 2005 è presente a Parigi con tre differenti mostre. Nel novembre una sua opera del 1957, “Il Vigilante”, viene esposta alle Scuderie del Quirinale a Roma nella mostra “Burri, gli artisti e la materia 1945-2004”. Nel giugno del 2006, negli spazi della Galerie Italienne di Parigi, vengono riproposti gli “Environnements” degli anni Sessanta è dell’ottobre dello stesso anno, a Londra, durante la Frieze Art Fair, la mostra “Naturale-Trasparent-Artificiale: 1960 to 2006” nella David Gill Galleries.
Dilvo Lotti. Un maestro della pittura / a cura di Luca Macchi ; prefazione di Antonio Paolucci ; testi di Luca Macchi, Marco Moretti, Luigi Testaferrata. – San Miniato (PI), Cassa di risparmio di San Miniato, 2007
Edizione speciale Pacini editore per Cassa di Risparmio di San Miniato. Prefazione di: Antonio Paolucci. Testi di: Luca Macchi, Marco Moretti, Luigi Testaferrata. Per la prima volta in questo volume sono raccolte opere di importanti collezioni e raccolte d’ Arte e una sezione è dedicata agli affreschi che Lotti ha realizzato in edifici pubblici e privati. Completa il volume un’antologia critica che riunisce articoli e saggi dedicati al lavoro del maestro Dilvo Lotti da personalità del mondo artistico e letterario. Dilvo Lotti è un figlio illustre della terra di San Miniato e della cultura toscana più vera, con la passione che tutti gli riconoscono si è dedicato per decenni alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico della nostra città attraverso importanti mostre. Con il suo operare ha arricchito la vita culturale della città di San Miniato. La monografia, che si avvale dell’introduzione di uno storico dell’arte come Antonio Paolucci ed è curata da Luca Macchi con i contributi di Marco Moretti e Luigi Testaferrata, racconta il suo itinerario artistico dai primi anni ‘30, quando era studente all’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze, fino alle affermazioni nazionali e internazionali. Noi tutti sappiamo che Dilvo Lotti è un artista che ha dipinto, affrescato, inciso, lavorato di ceramica e di scultura, ma ha anche contribuito a plasmare tante generazioni di scolari, tra i tanti anche il sottoscritto, che lo hanno avuto come insegnante attento e scrupoloso prima e come amico affettuoso e gioviale dopo”.
Luca Macchi è nato a San Miniato, in Toscana, dove vive e lavora. È Socio dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Ha conseguito il Diploma di Laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze discutendo una tesi sulla pittura metafisica di Giorgio de Chirico del periodo ferrarese. All’Accademia di Belle Arti di Firenze conosce le più attuali neoavanguardie di quegli anni che lo porteranno ad una propria concezione della figura fissata nei dipinti della serie Magma, frutto del lavoro di ricerca condotto dal 1985 al 1988.
Marco Moretti è un architetto senese, Da oltre trent’anni si occupa dei movimenti artistici e letterari del Novecento. Giornalista pubblicista dal 1983, già collaboratore alla Terza pagina de “La Nazione” e alle pagine nazionali di quel Gruppo Editoriale (1985-1996), ha collaborato a riviste culturali come “Erba d’Arno”, “Ore piccole”, “Toscana Qui”, “Critica d’Arte”, ecc. Ideatore e direttore della rivista “Oltre”, (1988-1990), è co-direttore assieme a Luigi Corsetti della collana studi “Quaderni Sofficiani”. Curatore di mostre sulle tendenze del Novecento, ha pubblicato numerosi saggi sui maggiori artisti italiani. Nell’ambito della valorizzazione di artisti locali, su incarico del Comune di Signa ha curato mostre antologiche sui maggiori artisti signesi: Giuseppe Santelli, Alimondo Ciampi, Alvaro Cartei, Bruno Catarzi. Riguardo all’attività cinetelevisiva, nel 1975 ha scritto e diretto il primo film sceneggiato su Dino Campana, vincitore del Premio Nazionale Gargano (1980) e i documentari (mostra antologica Palazzo Corsini, Firenze, 1974), Ardengo Soffici (mostre Rignano sull’Arno, 1994, Poggio a Caiano, 1994 e 2007), Ottone Rosi (mostre antologiche del centenario, Galleria Farsetti, Prato, Palazzo Reale, Milano, 1995).
Luigi Testaferrata è nato nel 1932 a Empoli, dove tuttora risiede. Formatosi alla scuola di Giuseppe De Robertis si laurea con una tesi sul Poema paradisiaco di D’Annunzio, segnando così l’inizio di un’appassionata ricerca dannunziana che fornirà una serie di interventi critici, alcuni di essi raccolti in un volume del 1972 (D’Annunzio paradisiaco) e in numerosi Atti dei convegni realizzati dal Centro Studi Dannunziani di Pescara nell’ultimo trentennio. Dal 1956 al 1977 insegna nei Licei, e in seguito, per altri vent’anni, fino al 1997, è preside del Liceo Ginnasio “Virgilio” della sua città. In questi anni ha continuato a scrivere, romanzi e racconti, con i quali ha partecipato con successo ad alcuni noti premi letterari. Si è dedicato anche a traduzioni (“Le favole di Fedro”, 1977; L’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, 1978; Le Metamorfosi di Ovidio, 1981), e a collaborazioni a quotidiani e periodici: «La Voce Repubblicana» ai tempi di Ugo La Malfa, «Il Giorno» di Guglielmo Zucconi, «Il Giornale» di Indro Montanelli, «Il Sabato», «Bell’Italia», «Toscana Qui», «Erba d’Arno». È editorialista di «Avvenire».
Francesco Curia. L’opera completa / Ippolita di Majo. – Napoli, Electa Napoli, 2002
Ippolita di Majo cura questo volume che rappresenta il primo profilo critico sistematico di Francesco Curia, pittore napoletano il cui talento sboccia nella rivolta antispagnola del tardo Cinquecento.
Ippolita di Majo si forma come storica dell’arte del Rinascimento e dell’Età moderna. Ha insegnato nelle Università di Napoli (Federico II, Istituto Universitario Orientale e Suor Orsola Benincasa), di Catania e di Cosenza. Tra il 2006 e il 2008 ha lavorato per Harvard a Villa I Tatti The Harvard University Center for Italian Reinassance Studies, prima come borsista e poi con un assegno di ricerca. Ha scritto su riviste di settore italiane e straniere e collaborato a mostre in Italia e all’estero. I suoi libri sono: Raffaello e la sua scuola, Firenze 2007 (Raphaël et son école, Paris 2008); Dal viceregno a Napoli. Arti e lettere in Calabria tra Cinque e Seicento (Paparo Edizioni, 2004); Francesco Curia. L’opera completa (Electa – Napoli 2002). Negli ultimi anni si è occupata di cinema e di teatro. Dal 2008 collabora con Mario Martone, prima svolgendo ricerche iconografiche e musicali per il film Noi credevamo (2010), poi lavorando come dramaturg alla messa in scena e alla riduzione dei dialoghi delle Operette morali di Giacomo Leopardi (2011) e infine firmando assieme al regista la sceneggiatura del film dedicato a Giacomo Leopardi, Il giovane favoloso (2014).
Lorenzo Lotto / Peter Humfrey. – Bergamo, Bolis, 1998
Per un video in cui Antonio Paolucci illustra l’opera di Lorenzo Lotto clicca qui.
Lorenzo Lotto (c. 1480-1556/7) ha dipinto alcune tra le opere più sorprendentemente belle, enigmatiche e interessanti del tardo Rinascimento. Peter Humfrey qui fornisce, dopo quella del 1956 di Bernard Berenson, una monografia completa su Lotto magnificamente illustrata, dove attinge all’ampio corpus delle opere rimaste di Lotto come pure dai documenti del XVI secolo sulla vita dell’artista che includono le lettere, il libro dei conti del periodo 1538-56 e il suo testamento. Humfrey si sofferma sul modo in cui Lotto si pone a confronto di artisti come Giovanni Bellini, Albrecht Dürer, Raffaello e Tiziano, sottolineando la spiccata individualità stilistica del pittore. Particolarmente interessanti per l’osservatore del XX secolo sono i ritratti di Lotto, la penetrazione psicologica che rivela una personalità artistica eccezionale nel rappresentare i pensieri e le emozioni degli effgiati a lui contemporanei.
Dolores Sella. L’opera grafica / nota introduttiva di Pier Carlo Santini. – Lucca, Centro studi sull’arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, 1983
Catalogo della mostra tenutasi a Lucca, dicembre 1983, realizzata in occasione della donazione offerta dall’artista Dolores Sella al Centro Ragghianti di Lucca. La donazione si compone di oltre ottocento fogli tra puntesecche, acqueforti, disegni, pastelli. Dal 1954 al 1980 Dolores Sella ha inciso 236 lastre di vario soggetto, compiendo personalmente, quasi sempre, tutte le operazioni, comprese le tirature. Nel catalogo sono pubblicate le schede delle incisioni che ricostruiscono la storia di ogni lastra, ragguagliando su ogni dettaglio tecnico.
Dolores Sella è nata ad Arona nel 1918 da famiglia veneta ma la sua vita si è svolta essenzialmente a Lucca. Ha conseguito il diploma Magistrale e, dedicandosi anche allo studio del pianoforte, quello del Liceo Musicale “G.Rossini” di Pesaro. Abbandona gli studi universitari alla vigilia della laurea quando un incidente le impedisce di continuare a dedicarsi all’esecuzione pianistica; rivolta l’attenzione alle arti visive, raccoglie i primi consensi dal 1950 partecipando alle più importanti mostre sul territorio nazionale ed alle più qualificanti rassegne internazionali. Dal 1954 opera con le tecniche incisorie utilizzate come linguaggio più consono alla propria personalità. Ha realizzato 283 lastre, tra rami e zinchi, con tecniche diverse e sperimentali. Sue opere si trovano in collezioni private e pubbliche, tra cui: Raccolta Bertarelli di Milano; Gabinetto Disegni e Stampe dell’Università di Pisa; Galleria La Permanente di Milano, Fondazione Ragghianti di Lucca e Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne di Bagnacavallo. Vive attualmente a Lucca.
Perché la musica classica? Significati, valori, futuro / Lawrence Kramer. – Torino, EDT, 2011
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Che cosa possiamo fare oggi per la musica classica? E viceversa: che cosa può fare oggi la musica classica per noi? Sono le domande da cui prende le mosse questa elegante e acuta indagine su una tradizione musicale la cui imminente scomparsa è annunciata da più di un decennio. Ma se la musica classica ha sempre trovato i suoi paladini, in un mondo saturo di informazione e segnato da un endemico deficit di concentrazione le ansie per il suo futuro sono diventate quantomai concrete. Perché la musica classica? affronta il tema con schiettezza, cercando di mettere in luce i valori più profondi e originali di questa forma d’arte (per musica classica qui si intende quel corpus di musica non teatrale prodotta a partire dal Settecento e avente l’ascolto come unica finalità). Kramer non basa la sua difesa sulla diffidenza nei confronti della cultura popolare o su una pretesa di superiorità: cerca invece di mostrare ciò che la musica classica, e solo essa, può ancora offrire all’uomo e da lui richiede, in un dialogo interiore che trasforma entrambi. Per questo esplora, in uno stile denso e colloquiale, argomenti come la natura della soggettività e il destino della melodia nel repertorio cameristico e nella musica da film, la conquista del tempo e il senso di mortalità nella canzone romantica, l’armonizzazione di umanità e tecnologia nella musica pianistica, la cura dell’attenzione e la liberazione dell’energia nel disegno sinfonico. Originale e controcorrente, la riflessione di Kramer non è solo una difesa della musica classica, ma un invito alla difesa della qualità umana che in questa musica trova tuttora voce.
Lawrence Kramer è professore di Inglese e Musica alla Fordham University di New York, e redattore di “19th-Century Music”. Ha pubblicato numerosi libri dedicati al rapporto fra musica e cultura.
Il pensiero musicale del Romanticismo / Enrico Fubini. – Torino, EDT, 2005
I saggi qui raccolti considerano la musica come un elemento propulsivo, un punto di partenza per addentrarsi in altri domini della cultura romantica: il pensiero filosofico, il pensiero estetico in senso lato, la politica, la cultura, le arti, il mondo della poesia. In queste pagine ci sfilano dinanzi non solo tutti i grandi e più discussi musicisti ed esecutori di quegli anni, da Beethoven e Schubert a Berlioz, Liszt e Wagner, ma anche i problemi chiave del mondo musicale romantico: il virtuosismo, l’ispirazione popolare, la religiosità nella musica, la libertà dell’artista, la musica a programma. Un percorso aperto che si snoda attraverso le riflessioni e le polemiche di filosofi e intellettuali come Diderot, Rousseau, Wackenroder, Heine…
Enrico Fubini (Torino 1935) già ordinario di Storia della musica all’Università di Torino, Visiting Professor presso l’Università di Middlebury (USA) e l’Università Autonoma di Madrid, direttore della «Rivista italiana di musicologia», ha tenuto corsi e conferenze in numerose università straniere. I suoi interessi di studio si sono diretti soprattutto verso la storia dell’estetica e del pensiero musicale e il rapporto della musica con il pensiero ebraico. Ha pubblicato fra l’altro: L’estetica musicale dal Settecento a oggi (Einaudi, 1964, ed. ampliata 1987), Gli enciclopedisti e la musica (Einaudi, 1971 e 1991), Musica e linguaggio nell’estetica contemporanea (Einaudi, 1973), L’estetica musicale dall’antichità al Settecento (Einaudi, 1976), Musica e pubblico dal Rinascimento al Barocco (Einaudi, 1984), Storia della musica (in coll. con M. Baroni, P. Petazzi, P. Santi, G. Vinay, Einaudi, 1988), Musica e cultura nel Settecento europeo (EDT, 1987), La musica nella tradizione ebraica (Einaudi, 1994), Estetica della musica (Il Mulino, 1995), La musica: natura e storia (Einaudi, 2004). Ha tradotto e curato i Viaggi musicali in Europa di Charles Burney (EDT, 1987) e numerosi testi del pensiero musicale ottocentesco.
Amore all’Opera. Tutte le trame. – Torino, UTET, 2009
Fauré. Le voci del chiaroscuro / Jean-Michel Nectoux. – Torino, EDT, 2004
Dell’allievo di Saint-Saëns, idolatrato da Proust, molti conoscono solo la musicalità ineffabile del Requiem e della Pavane. Con questa biografia critica – frutto di vent’anni di lavoro su un’enorme quantità di materiale documentario, in buona parte inedito – scopriamo la centralità di Fauré nella musica fin de siècle francese. L’analisi che Nectoux dedica all’intera produzione artistica, conferisce infatti a Gabriel Fauré un ruolo di rilievo tra i grandi innovatori della musica francese, accanto al suo allievo Ravel e a Debussy. Completa il volume un ricco apparato di appendici: un’ampia cronologia, un aggiornato catalogo cronologico delle opere e la più completa delle bibliografie sinora apparse sull’autore.
Jean-Michel Nectoux prima di approdare a questa biografia ha dedicato a Gabriel Fauré una gran mole di studi e monografie, oltre ad averne curato l’edizione completa dello Epistolario (Flammarion, 1980). Conservatore della Bibliothèque nationale de France e del Musée d’Orsay a Parigi, ha successivamente ricoperto l’incarico di direttore aggiunto alla programmazione musicale di Radio France. Attualmente è consulente scientifico presso l’Institut national d’histoire de l’art di Parigi.
Pasolini / di Filippo La Porta. – Bologna, Il Mulino, 2012
Pensata come complemento della «Storia della letteratura italiana» (6 voll., 2005), questa serie di «Profili» ne ripropone la formula introduttiva. Collocandolo nel quadro storico e sociale della sua epoca, ogni volume presenta uno dei grandi autori della tradizione letteraria italiana, ne discute criticamente le opere e ne illustra la poetica.
Sul corpo e sull’opera di Pasolini si sono succedute metodologie e prospettive critiche che ne hanno privilegiato, in ultimo, aspetti un tempo ritenuti eversivi: la forma incompiuta dei suoi testi, l’ossessiva presenza in essi dell’autore, il loro essere debordanti. Seguendo il filo cronologico della sua produzione e aggiornato sui recenti sviluppi del dibattito, Filippo La Porta stabilisce un confronto dialettico con le letture consolidate del poeta-saggista, da Berardinelli a Carla Benedetti, da Siti a Tricomi, fino alle più recenti analisi, senza rinunciare a formulare un’interpretazione inconsueta e originale, diversa da quelle già proposte dalla critica (estratto da L’Indice dei libri del mese)
Indice del volume: I. La formazione. – II. La fuga a Roma. – III. Poesia verso la prosa. – IV. La vocazione pedagogica. – V. Il saggista e il critico. – VI. Il sacro è la realtà stessa. – VII. L’impegno del corsaro. – VIII. Le ultime opere e la morte. – Cronologia. – Per saperne di più. – Indice dei nomi.
Filippo La Porta, critico e saggista, collabora al Corriere della Sera, al Domenicale del Sole 24 ore e al Messaggero. Ha pubblicato: Maestri irregolari (Bollati Boringhieri, 2007), Diario di un patriota perplesso negli Usa (e/o, 2008), Meno letteratura, per favore (Bollati Boringhieri, 2010) e Un’idea dell’Italia. L’attualità nazionale nei libri (Aragno, 2012).
Saba / di Fulvio Senardi. – Bologna, Il Mulino, 2012
Pensata come complemento della «Storia della letteratura italiana» (6 voll., 2005), questa serie di «Profili» ne ripropone la formula introduttiva. Collocandolo nel quadro storico e sociale della sua epoca, ogni volume presenta uno dei grandi autori della tradizione letteraria italiana, ne discute criticamente le opere e ne illustra la poetica.
Indice del volume: I. «Sotto il cielo dell’altra sponda»: Saba, poeta triestino. – II. Caratteri della poesia di Saba. – III. Fasi, temi e forme del Canzoniere. – IV. Il tavolo della prosa. – Cronologia. – Per saperne di più. – Indice dei nomi.
Fulvio Senardi ha insegnato nelle scuole superiori e in alcune Università europee. Fra i suoi libri ricordiamo: Il giovane Stuparich. Trieste, Firenze, Praga, le trincee del Carso (Il ramo d’oro, 2007) e Scrittori in trincea. La letteratura e la Grande Guerra (a cura di; Carocci, 2008).
Elsa Morante / di Giovanna Rosa. – Bologna, Il Mulino, 2013
Pensata come complemento della «Storia della letteratura italiana» (6 voll., 2005), questa serie di «Profili» ne ripropone la formula introduttiva. Collocandolo nel quadro storico e sociale della sua epoca, ogni volume presenta uno dei grandi autori della tradizione letteraria italiana, ne discute criticamente le opere e ne illustra la poetica.
Indice del volume: I. La preistoria romanzesca. – II. Menzogna e sortilegio: il romanzo familiare di Elisa. – III. L’isola di Arturo: il romanzo di formazione di Arturo e Nunz. – IV. Alibi, scialli e pazzarielli. – V. Lo scandalo della Storia Romanzo. – VI. Aracoeli, il romanzo andaluso di Manuel. – Cronologia. – Per saperne di più. – Indice dei nomi.
Giovanna Rosa insegna Letteratura italiana contemporanea nell’Università Statale di Milano. Fra le sue pubblicazioni segnaliamo: Cattedrali di carta. Elsa Morante romanziere (20062) e Il patto narrativo. La fondazione della civiltà romanzesca in Italia (2008), edite dal Saggiatore.
Primo Levi / di Mario Porro. – Bologna, Il Mulino, 2017
Indice del volume: Indice: Introduzione. – I. Il sistema periodico: la formazione di un chimico. – II. Se questo è un uomo: il testimone. – III. La tregua: l’odissea del ritorno. – IV. Storie naturali e Vizio di forma: l’ombra della Tecno-Scienza. – V. La chiave a stella: le avventure del mestiere. – VI. La ricerca delle radici e L’altrui mestiere: il terzo- istruito. – VII. Se non ora, quando? Un romanzo della Resistenza. – VIII. Ad ora incerta: scrittura e poesia. – IX. I sommersi e i salvati: pensare il lager. – Conclusione. – Cronologia. – Per saperne di più. – Indice dei nomi.
Mario Porro insegna presso il Liceo Fermi di Cantù. È autore di «Letteratura come filosofia naturale» (Medusa, 2009), dedicato a Calvino, Gadda e Primo Levi.
Ultimo aggiornamento della pagina: 29/6/2020